mercredi 25 avril 2007

Divanetto rosso


















L'ASCENSORE dal DIVANETTO ROSSO

Traduzione in italiano del gruppo Divanetto*





Ringraziamenti




Tutti sanno che all’ inizio c’era la parola ma nessuno sa in che lingua. Vorrei dire che io sono più fortunata. Prima c'era il mio piccolo libro in francese e dopo il famoso “Divanetto”, fondato a Parigi nel maggio del 2004 che ha realizzato - con amore e ingegno - questa bella traduzione italiana.

Grazie e baci a Paola, Claire, Elodie, Marie-Odile, Christiane, Maude, Monique, Francesco e Gilles …




“Papà, posso venire con te”? chiede Birnez. Non c’è scuola oggi.
- “Sicuro”?
“Il bambino della nostra maestra ha la varicella...”
- “Non la sostituisce nessuno”?
“ Nooo”, risponde il ragazzo.
- “Non stai raccontandomi una bugia ? Mostrami il tuo diario”.
Birnez fruga nella cartella e tende a suo padre un quaderno azzurro. Il padre lo sfoglia, controlla l’ultima pagina...
- “Sì, va bene. Ma a una condizione, non mi chiederai ancora di salire nel...”
“ No, no”, lo interrompe Birnez, “te lo prometto”.
- “E non disturberai né i miei colleghi né i lettori...”
“ Te lo giuro” !
Suo padre gli arruffa i capelli. Le punte bionde dei capelli di Birnez sono bagnate. Gel o acqua ? Non riesce a decidere.
Fuori è bello. Solo qualche nuvola a forma di cavolfiore aleggia sopra il monte Trebevic che domina Sarajevo. Una funivia lega la sua cima al centro della città. La si prende d’inverno per andare a sciare e d’estate per andare a passeggiare nella foresta. Ma oggi è un lunedì... e i divertimenti sono finiti. Hana, la mamma di Birnez, ripone la tazza di caffè sospirando. Posa uno sguardo pieno di tenerezza sui suoi uomini e si alza.
Birnez si appende al suo collo, la bacia teneramente. “Stai attento alle perle, amore mio”. Con un gesto grazioso verifica che la collana sia a posto : “A stasera, cari...”!
Il tic-tac allegro dei suoi tacchi alti risuona sul pianerottolo.
Birnez ripone la tazza di cioccolata, si asciuga la bocca. Suo padre è pronto.
Chiudendo la porta dell’appartamento gli dice:
- “Prendiamo il tram o andiamo a piedi “?
Birnez riflette un po’. Tutti e due gli piacciono. È divertente essere sballottato nel vecchio tram rosso... quasi come camminare per strada tra la mamma e il papà.
“ Per me, è lo stesso”, risponde Birnez.
- “A piedi, allora. Ti muoverai un po’... sapientone”, dice suo padre sorridendo.
“ Dici così ma in realtà vuoi solo risparmiare”, gli ribatte Birnez.
I due hanno lo stesso sorriso e le stesse orecchie a sventola.
Birnez e i suoi genitori abitano in un appartamento nel centro di Sarajevo, vicino al mercato Markalé*. La città è situata in una valle rettangolare completamente circondata da montagne. Un fiume, la Miljacka*, scorre pigramente in mezzo alla città.
Come ogni mattina il mercato è affollatissimo. Odori di frutta, di ortaggi e di fiori aleggiano nell’aria. Le voci dei venditori ambulanti risuonano attraverso la piazza. Il padre e suo figlio stentano a aprirsi un varco negli stretti viali. Birnez si ferma un attimo per accarezzare un grosso cane bianco seduto ai piedi del suo padrone che prende un caffè a un tavolino all’aperto. L’orologio con le cifre romane della vecchia cattedrale batte le nove. I due affrettano il passo. Piccole botteghe fiancheggiano le strade pedonali ai due lati. I bottegai vendono tappeti, brocche di rame, pantofole ricamate con motivi folcloristici e cianfrusaglie varie.
È il quartiere più antico della città, dove circolano durante il giorno grappoli di turisti venuti da tutto il mondo. Ma è ancora molto presto.
A quest’ora mattiniera a Birnez e suo padre piace sentire il rumore dell’acqua che cade sulle vecchie selci disgiunte. Alla Fontana Bianca, Birnez ne raccoglie un po’ nella mano e si disseta. Si ricorda che, da piccolo, suo padre gli faceva bere acqua così, unendo le due mani per formare una vera tazza. Da allora, quell’ acqua ha conservato, per lui, un gusto molto speciale.
Dietro un muro di pietra decorata, Birnez e suo padre intravedono il cortile pavimentato della moschea del Bey*. Un minareto cilindrico a forma di matita appuntita si staglia dietro i grandi alberi che crescono nel cortile. Qualche uomo curvo fa le abluzioni. I commercianti si chiamano l’un l’altro. Uno di loro agita davanti alla faccia dei passanti il suo fez* di color granata e fa un amichevole occhiolino al ragazzo.
“ Quel cappello”, dice il padre un po’ più lontano, “sono sicuro che lo mette soltanto per attirare l’attenzione dei turisti”.
“E allora ? Vorrei averne uno anch’ io...”


***


In una viuzza selciata sono per un momento accecati da un raggio di sole che riflette il rosone d’una sinagoga. Sul portone di legno, un manifesto multicolore annuncia una mostra di manoscritti rari che ha avuto luogo nel museo. Esponeva la Haggadah* di Sarajevo, un libro che gli ebrei sefarditi hanno portato lì dopo essere fuggiti dalla Spagna nel sedicesimo secolo. C’era anche un Corano bosniaco, un manoscritto francescano e un libro di salmi ortodossi.
Più avanti, l’edificio maestoso con la facciata ocra della Vijecnica*, la biblioteca, sorge davanti a loro. Con il tetto merlato e le strette finestre ad ogiva. Ricorda un castello del Rinascimento.
Penetrando in questo luogo, un brivido percorre Birnez. Ogni volta è la stessa cosa. Non ci può far niente.
“Buongiorno Birnez”,” Buongiorno caro collega! Come va” ? Dice il portinaio da dietro il vetro del suo posto. Dinanzi a lui c’è un vassoio di rame sul quale sono posati una tazza di caffè, un loukoum e un minuscolo vaso di rame.
Il padre e il figlio entrano prima nell’atrio sopra il quale un tetto a vetri multicolore lascia filtrare i raggi del sole. Vanno poi nel ripostiglio, ingombro d’aspirapolveri, di lucidatrici, di scope, di stracci e di una moltitudine d’altri oggetti di pulizia.
Il padre si leva i vestiti normali. Indossa una vecchia blusa grigia. “Oggi devo lucidare il pavimento della saletta di lettura, mi lascerai in pace Devo finire prima delle 11. Poi farò una piccola pausa. Ci ritroviamo alla caffetteria… E ricordati della tua promessa. Non voglio storie né con i bibliotecari né con la signora… ».
Birnez l’interrompe con impazienza “ ok papà, nessun problema, non non preoccuparti, a più tardi”!
La biblioteca è ancora deserta e lo resterà per almeno un’ora e mezzo, prima dell’arrivo degli impiegati. Birnez resta fermo qualche momento. Respira l’aria della biblioteca, con gli occhi chiusi, questo odore caratteristico, una mescolanza di legno vecchio, di carta e di cuoio…
“Non sono un sapientone” bisbiglia, “preferisco sempre lo sport alla matematica e ai libri”. Va a sprofondare in una delle vecchie poltrone di pelle nella grande sala da lettura. Preme sul pulsante bianco ai piedi del lume. Il paralume verde a forma di tulipano s’illumina. E un po’ polveroso. Con la punta delle dita, Birnez accarezza le iniziali disegnate nel cuoio lasciate dalla bic d’un lettore indisciplinato. Suo padre, il solo addetto alle pulizie della biblioteca, non riesce a pulire tutto impeccabilmente.
“E se accendessi una fotocopiatrice”? si dice Birnez. Qualche tempo prima aveva già copiato la testa, le mani recto-verso, in formato A4 e A3…
Un giorno, l’aveva fatto tante volte ch’era diventato quasi cieco per via del flash.
E se questa mattina, tu facessi qualche fotocopia simpatica dei piedi… bisbiglia nella testa una vocina.
“Con le scarpe da ginnastica o a piedi nudi”? chiede Birnez per guadagnare tempo.
Sbrigati prima che le bibliotecarie arrivino… Le bibliotecarie non sono un problema. Ti adorano. Sono ai tuoi piedi, aggiunge la vocina. E’vero.
Come la mamma che trova che tu sia il ragazzo più intelligente del mondo.
“Il più intelligente e il più bello”, esclama Birnez, con l’ indice alzato in aria, rivolgendosi alla fila di tulipani. Il rumore della lucidatrice risuona all’ingresso della sala.
Salta sulla poltrona per sparire dalla parte della caffetteria, ma si ferma subito.
Suo padre alza lo sguardo verso di lui. Attraverso il rumore della macchina gli grida severamente - “e soprattutto, non avvicinarti all’ascensore”!
Birnez conosce come le sue tasche tutto il pianterreno della biblioteca, la portineria del custode, il bagno, le sale da lettura, le stanze dove sono ammassati i libri, i periodici, i giornali e le cassette.
La sala da musica non è male. Ci sono delle cuffiette a disposizione per ascoltare cassette, dei vecchi nastri di registratori, dei dischi, dei CD… E poi, quegli strumenti da musica, oggi quasi scomparsi, sospesi ai muri : una lira, un guzla*, una zurna* polverosa. Una volta interpretavano dei canti di pastori o di contadini che celebravano la semina e i raccolti o li accompagnavano al tempo delle lunghe veglie invernali.
Nel fondo della sala, un grosso orologio, simile a quelli delle banchine di stazione, con le lancette che segnano il passaggio dei secondi, fa le nove e mezzo.
E se facessi una fotocopia del busto intero, braccia comprese, la piccola voce è di ritorno. Sghignazza leggermente. Per vedere un po’ lo stato dei bicipiti, tricipiti, addominali. Deciditi presto, non hai molto tempo perché le bibliotecarie e poi l’ALTRA stanno per arrivare.
“Lasciami in pace”, risponde al tulipano verde più vicino.
E’ vero che l’idea non è male. Anzi, è piuttosto eccitante. Birnez potrebbe vedere i suoi muscoli e constatare i suoi progressi meglio che davanti ad uno specchio.
“E se qualcuno o piuttosto qualcuna mi sorprendesse a il busto nudo, coricato sul vetro della fotocopiatrice?
Dei ricordi legati a un posto particolare della biblioteca, affluiscono al suo spirito. Prova a respingerli con tutte le sue forze.
“NO”, dice ad alta voce, “non andrò a fare il pagliaccio alla fotocopiatrice. E non prenderò quel brutto…”
“Allora Birnez, si parla da soli ora”, una grossa voce lo fa sobbalzare. Hassim, il cameriere della caffetteria, si è avvicinato a Birnez in punta di piedi.
“No, nooo”, Birnez è tutto rosso.
Per nascondere il suo imbarazzo, propone a quel tipo dai capelli rossi e coperto di lentiggini di aiutarlo a pulire le tavole. Lui gli dà una vecchia spugna scolorita e Birnez si mette al lavoro.
La caffetteria si trova sotto un immenso velux ottagonale che è in realtà il tetto a vetri multicolore incastrato nel tetto della biblioteca. I tavolini rotondi di marmo le danno l’aria d’un caffè parigino. Un cartello all’ingresso indica l’orario 11-14, 16-18. Qualche cartellone con l’annuncio delle serate letterarie, dimenticato da tutti, è attaccato al di sopra della cassa:

Lettura e dedica dei poemi
Di Abdulah Sidran
alle 19,00, il 20 giugno 1989
Venite numerosi!

Da un pezzo Birnez ha voglia di provare la cassa. Fa un baccano infernale quando Hassim gli batte sopra. Il cassetto dei soldi fa un rumore simile ad un vecchio fucile arrugginito. Birnez si domanda se farà lo stesso rumore quando un giorno sarà lui a servirsene, o se quel rumore è dovuto solo al cameriere dai capelli rossi. Questo pulisce in silenzio le tavole e vuota i portaceneri. Attraverso il tetto a vetri, i raggi di sole proiettano sui tavolini dei gettoni di mille colori. Dal bar si sente il rumore del gas e il gorgoglio dell’acqua per il caffè. Dalla sala di lettura si sente il ronfare della lucidatrice. Birnez scorge le orecchie rosa e il dosso grigio del padre.
“Ecco la padrona” ruggisce Hassim.
Birnez sobbalza, manca poco che la spugna gli cada dalle mani.
“Sempre così mattiniera”, brontola Hassim.
Un tassì parte in quarta dinanzi al portone di Vijecnica. Una donna con i capelli bianchi che si aiuta con un bastone bianco sale con fiducia i tre scalini che portano all’ingresso. I saluti del portinaio e le risposte corte ma cortesi della donna sono accompagnate da leggeri sfregamenti del bastone bianco sulle lastre di marmo. Birnez pensa di scappare dalla caffetteria, almeno provvisoriamente, poi, dopo una breve battaglia interiore, decide di restare.
Quella donna è la direttrice della biblioteca. Si chiama Lukrecija Hadzi Kapetan, ma quasi tutto il personale la chiama Signora Etsa.
Prima di salire nell’ufficio, si ferma sempre alla caffetteria per bere il primo caffè. Poi e durante la giornata ne trangugierà una buona diecina.
La Signora Etsa è leggermente incurvata, vestita con un vestito color crema. Con i capelli bianchi finissimi ed il bastone bianco, fa pensare a una tazza di cappuccino gigantesca nella quale è piantato un cucchiaio. Profuma anche di caffè e di cioccolata insieme.
“Buongiorno Hassim! Ha dormito bene?” si informa.
“Bene Signora, La ringrazio di chiedermelo e Lei?” reagisce Hassim. Le serve con premura il suo caffè facendo attenzione o non inciampare nel suo bastone. (Gli è capitato una SOLA volta, e arrossisce ancora solo a pensarci!).
“Oggi, Signora Etsa, è venuto a trovarci Birnez, il figlio di Meho” – dichiara Hassim con solennità. “Ci aiuta molto in biblioteca”.
L’interessato fa dei gesti e delle smorfie a Hassim supplicandolo di non parlare di lui. Ma è troppo tardi.
“Ne sono felice. Benvenuto, Birnez!”
E gira la testa verso di lui. Birnez rimane pietrificato.
“Come va a scuola, piccolino”?
“Bene, Signora”.
Nessuno sa se la Signora Etsa sia completamente cieca oppure no.
Come tutte le persone che vedono molto male, ha compensato il suo handicap sviluppando un udito estremamente fine, una specie di sesto senso. Lei afferma che sente il rumore dei fiocchi di neve che cadono sul davanzale delle finestre del suo ufficio.
Tre anni prima, quando Birnez aveva solo sette anni, suo padre l’aveva portato al lavoro con lui. Non sapevano a chi affidarlo. La mamma di Birnez doveva lavorare all’inventario nel suo supermercato e non poteva liberarsi. Per questo Birnez era atterrato per la prima volta a Vijecnica.
I bibliotecari, Hassim e il portiere l’avevano accolto molto bene. Gli avevano mostrato tutti gli angoli nascosti dell’edificio e poi l’avevano lasciato che se la sbrigasse da solo.
Vagabondando attraverso le sale, Birnez aveva scovato l’ascensore, nascosto dietro una colonna dorica*. Non sapeva naturalmente che l’ascensore era riservato esclusivamente alla Signora Etsa. La Signora Etsa prende l’ascensore dal divanetto rosso solo due volte al giorno, una volta al mattino e una volta alla sera. Hassim le porta sempre i suoi caffè e una porzione di chevaptchitchi* per il pranzo. Il personale prende sempre le scale di marmo che servono i due piani e l’insieme delle sale e dei depositi.
Questo ascensore è completamente ricoperto di una decorazione scura in legno. Si entra attraverso una porta di ferro nero lavorata finemente e, meraviglia delle meraviglie, ha una specie di divanetto di velluto rosso. Come schienale e braccioli, questo ha una specie di cuscinetto a forma di “U”, decorato con delle ghiande dorate. Il pavimento dell’ascensore è ricoperto di una spessa moquette setosa bordeaux. Sopra il divanetto è appeso, su una cornice dorata, uno specchio di stagno. La dolce luce di una lampada a forma di mezzo-giglio è affissa alla parete mentre i riflessi che rinvia lo specchio creano nell’ascensore un’atmosfera simile a quella di un boudoir*.
L’ascensore lussuoso della Signora Etsa non ha certo niente a che vedere con gli ascensori delle case popolari coperte di graffiti e molto spesso guasti che conosceva Birnez. Quello è un vero gioiellino. All’inizio, il ragazzo non si era reso conto che si trattava di un ascensore. L’aveva capito solo scoprendo i tasti di madreperla che indicavano i piani. Quel giorno, Birnez si era rifugiato nel piccolo abitacolo rosso, e, acciambellato sul divanetto, proprio giusto per lui, si era addormentato come un bambino piccolo.
Non aveva parlato a nessuno della sua scoperta. Ogni volta che tornava a Vijecnica, faceva in modo di passare qualche tempo a fantasticare nell’ascensore dal divanetto rosso. Si raccontava delle storie.
Ecco quella che ritornava più spesso...
A bordo di un veliero che torna dall’India, carico di spezie e di tessuti che arriva nel porto di Alessandria* per fare scalo. Dei doganieri egiziani salgono sul suo veliero per ispezionarlo. Deve pagare delle tasse portuali. Trova un accordo : presta i suoi manoscritti che saranno ricopiati per la Biblioteca d’Alessandria. Gli Egiziani accettano, se ne vanno cantando, mostrando sempre il viso di profilo mentre i loro corpi rimangono di fronte.
Anche Birnez è contento. Non solo ha conservato le sue merci e potrà arricchirsi rivendendo le spezie e i tessuti nel suo paese, ma, per di più, riporta dei papiri coperti di geroglifici che i responsabili del porto gli hanno dato come ricevuta. Qualche volta ne regala alcuni al Museo Zemaljski* di Sarajevo e allor riceve dalla direzione un diploma di benemerenza. Oppure ne regala uno alla Grande Biblioteca. La signora Etsa gli assegna una medaglia d’ oro. I suoi genitori toccano il cielo con un dito e l’abbracciano, il personale di Vijecnica gli prepara una festa.
Ma tutto è solo un sogno...
Un giorno, il padre di Birnez aveva lavorato fino a tardi la sera e si era quasi dimenticato che suo figlio era con lui. La Signora Etsa, anche lei si era lungamente attardata in ufficio. Entrando nell’ascensore, immediatamente, aveva sentito la presenza di qualcuno... aveva avuto paura. Si era precipitata sul tasto di allarme, di cui non si era mai servita prima. Allora, un suono molto stridente era risuonato in tutto l’edificio... Birnez, addormentato sul divanetto, si era svegliato di soprassalto, aveva urlato e cominciato a chiamare aiuto. Suo padre era accorso subito. Il portiere dietro di lui.
“Signora Etsa ! È Birnez, è solo mio figlio ! Vieni qui bricconcello* !
Da allora, Birnez non si è mai più avvicinato all’ascensore. Capitolo chiuso... ma il ricordo rimane.

***

Da allora, alla direttrice, che gli fa un po’paura, Birnez preferisce Aida, il suo braccio destro. La ragazza dai capelli color miele, legati con un nastro di velluto gli sembra bellissima ed elegante. Per di più, Hassim gli aveva detto che Aida e la Signora Etsa parlano, tutte e due insieme almeno dieci lingue straniere, e che, insieme, avevano visitato tutti i paesi del mondo.
“Tutti” ?
Birnez era comunque un po’ scettico.
“Beh sì, tutti” sosteneva Hassim.
- “Quanti paesi ci sono al mondo” ? aveva chiesto Birnez
- “Circa 250”.
- “Perché, circa” ?
- “Perché, vecchio mio, cambia sempre. Hai sentito parlare dell’Unione sovietica “?
- “Beh sì, un po’ sì”.
- “Bene”, risponde Hassim, “attualmente questo paese è stato trasformato in una decina di paesi : l’Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, l’Estonia, la Lettonia, l’Uzbekistan, il Kirghistan, la Federazione di Russia, ecc, ecc... Si muove troppo” !

***

La Signora Etsa si allontana da Hassim e Birnez, prende l’ ascensore e torna al suo ufficio. Riflette un momento sull’incidente successo tre mesi prima e decide di mandare Aida a chiamare Birnez. È la prima volta che Birnez entra negli uffici della direttrice. È una grande stanza con un altissimo soffitto dove regna un delizioso disordine. Si può appena aprirsi un varco tra le pile di libri e di giornali depositati dappertutto e si deve girare attorno ai mappamondi di legno, ai vecchi cassettoni, alle poltrone di cuoio rovinato. Ci sono scaffali di libri rilegati dai titoli austeri e dorati., vetrine che crollano sotto il peso di oggetti di ogni genere, trofei, collezioni, vecchie carte ingiallite attaccate ai muri... Una grande fotografia, in bianco e nero, del Presidente Tito* con il braccio ferito, accompagnato dal suo cane...
Qui l’odore particolare della biblioteca è ancora più presente. Gli uffici danno su una terrazza, da cui si sentono debolmente i rumori della strada. Di tanto in tanto, i fili elettrici del tram si sfregano e lanciano delle scintille. Di fronte, c’è un vecchio ponte di legno che scavalca il fiume Miljacka. Più lontano ecco il monte Trebevic in cui si scorgono le cabine della funivia che scendono verso la città.
La Signora Etsa sta leggendo un libro scritto in Braille*. Le sue dita scivolano velocemente su una moltitudine di minuscoli buchi. Birnez conosce già questi libri.
“ Vieni avanti, ragazzo mio, ti mostrerò un tesoro”.
Aida apre la vetrina e tira fuori, con una cura estrema, uno ad uno, quattro preziosi libri miniati : un Corano, la Haggadah, una Bibbia e un libro ortodosso di salmi. Birnez guarda. È molto deluso. Questo tesoro non è la cassa piena di monete d’oro che riportano i pirati.

***

Da parecchi mesi, la città di Birnez è assediata... Sulle colline intorno a Sarajevo sono appostati dei cecchini che sparano su tutto ciò che si muove... o non si muove. Su delle biblioteche, per esempio... Come credere che, ancora ieri, questa gente abitava nella città, lavorava, insegnava, che i loro bambini andavano al nido, a scuola... Birnez non ci capisce niente e non è il solo. Anche gli adulti non ci capiscono niente. Niente funziona comme dovrebbe e tutti vogliono fuggire dalla città ma pochi ci riescono.
L’incendio della Biblioteca è avvenuto alla fine dell’ agosto 1992. Una notte, i cecchini* hanno lanciato dei missili dal monte Trebevic che sono atterrati proprio sul tetto a vetri della biblioteca. I vetri multicolore si sono rotti in mille pezzi. Subito si sono attivati gli allarmi d’incendio e i pompieri sono arrivati con delle scale e delle pompe, ma è stato inutile. Le carte e il legno bruciavano benissimo. E poi, prima di lanciare i missili incendiari, gli assalitori avevano interrotto l’acqua. L’incendio era durato due giorni e due notti.
È irreale. Birnez può vederlo alla televisione e, dal vero, dalla finestra della cucina. Riesce a localizzare le finestre dell’ ufficio della Signora Etsa. Delle grosse fiamme rosse escono dalle porte, dalle finestre e lambiscono la facciata...
Nascosti dalle alte colonne di fumo, i fantasmi degli eroi romanzeschi prendono il volo verso il cielo. Il sole è arancio scuro. Un sottile strato di cenere ricopre il suolo. Tutto è bianco intorno alla biblioteca per parecchi giorni e si cammina in una polvere fina come della neve farinosa.


***

È una camera a due letti occupati da due mummie. Mummie avvolte in fasce bianche, rosa a tratti. Una delle mummie è il papa di Birnez. Soffre di gravi ferite provocate dalle fiamme che l’hanno raggiunto quando tentava di salvare i libri della “sua” biblioteca. Il secondo letto è occupato da uno “straniero”. Oltre a tutte le medicazioni, questo ha la gamba destra immobilizzata in aria da una specie di altalena sospesa al soffitto.
Fa molto caldo. È la fine di agosto.
Birnez è in piedi tra i due letti. Con un giornale piegato, scaccia le mosche dal viso mal sbarbato di suo padre che tiene gli occhi chiusi, poi si volta verso lo “straniero”.
Questo ha aperto un occhio molto azzurro e abbastanza nebbioso.
Un’ infermiera entra. Arruffa i capelli del ragazzo.
“ Lasciaci un po’, per favore. Va sul terrazzo”.
Allora Birnez se ne va dalla porta-finestra.
L’ospedale di Kosevo* è strapieno. Ci sono molti feriti per le schegge di granata o per i tiri degli snipers.
Davanti all’ospedale c’è un via-vai incessante d’ambulanze.
Birnez posa il mento sulla balaustra e scruta le colline di fronte dove sono appostati gli assalitori invisibili. Si chiede da dove venga lo straniero. Dall’America ? Dalla Francia ? Dall’ Inghilterra ?... E che cosa è venuto a fare a Sarajevo ? E come è stato ferito?
Il ragazzo pensa anche a suo padre, in piedi nella catena umana formata da impiegati della biblioteca e da passanti. Coraggiosamente hanno tentato di salvare i preziosi libri della biblioteca... ed ecco il risultato. Scottature di terzo grado per suo padre, Aida uccisa, un pompiere in coma in seguito a una caduta della sua scala provocata dal tiro d’uno sniper. E la Signora Etsa ? Birnez si mette a piangere, senza rumore.
L’indomani il ragazzo è di nuovo all’ ospedale nella camera delle due mummie. Sulla cartella clinica attaccata ai piedi del letto di ferro viene a sapere che lo straniero si chiama Bertrand Kahn. Ha 39 anni, professione fotografo, indirizzo “Holiday Inn”. Una pila di regali si accumula sul suo comodino : tavolette di cioccolato, libri, giocattoli di peluche. Birnez mette sul comodino di suo padre un recipiente di latta riempito di minestra preparata dalla madre. Fa sempre caldissimo. Le guance dei due uomini silenziosi sono nascoste da una barba di tre giorni. Birnez si mette a recitare meccanicamente:
Do you speak English ?
Parlez-vous français ?
Sprächen Sie Deutsch ?
Parla italiano ?
Habla espanol ?
Gavarité pa rousski ?
È Eva, una ragazzina ceca che ha insegnato queste frasi a Birnez cinque anni fa in un campeggio sulla costa dalmata. Eva e lui si divertivano a fare queste domande ai turisti stranieri sdraiati sulla spiaggia. A prima vista, loro erano sorpresi, anzi sbalorditi dai due piccoli “geni” linguistici. Poi, dopo aver capito che i “poliglotti” conoscevano soltanto queste frasi, li allontanavano dicendo loro : “Sì, io sì ma voi no.” “Yes, I do, but you don’t”...


***


E’ già inverno nella città assediata e Birnez si annoia a casa. Non c’è scuola. Sua madre, che passa il tempo a leggere e a fumare, non gli permette di uscire perché è troppo pericoloso.
Birnez si chiede che ne sia di Hassim, dell’ascensore dal divanetto rosso, della caffetteria, della Signora Etsa, della cassa…
Vuole sapere.
Per andare da casa alla biblioteca, deve camminare velocemente e correre agli incroci per via dei cecchini. Ed anche a causa del freddo. Incrocia poca gente, ma molte carcasse di automobili, di tram, di pannelli pubblicitari tutti crivellati di proiettili... Su uno dei pannelli sorride Voutchko, il lupetto, mascotte dei giochi olimpici di Sarajevo nel 1984.
Altri cartelli sono stati installati con la guerra. Il più frequente è “Pazi snajper” (Attenzione ai cecchini).
Le bottegucce di legno che si trovano lungo le vie pedonali di Bascharsija*, sono quasi tutte bruciate e devastate. Più nessun segno della vita di prima, più nessun colore e quasi nessun rumore.
Lo sguardo di Birnez è attirato da una macchia di colore nella vetrina rotta di una di queste. Si avvicina. Fra i cocci di vetro e i pezzi di tavole annerite, qualcuno aveva disposto bene in evidenza molte cartoline di Sarajevo fra le quali c’è la facciata fotogenica della bibliotecaVijecnica.
Per alcuni secondi Birnez ha la tentazione di rubarne una... Non è veramente un furto, gli sussurra la vocina. Irritato, il ragazzo si acciglia e continua il suo cammino.


Da lontano, la Biblioteca non sembra tanto rovinata dall’ incendio.
Ma una volta vicino si vedono le tracce nere del fumo e i buchi dei muri squarciati al posto delle finestre.
Come un ladro Birnez si insinua nel vecchio edificio. Il silenzio dell’ambiente e la debole luminosità gli danno l’impressione di essere dentro un relitto di un grandissimo veliero nel fondo dell'oceano. A terra, ci sono mucchi di pietre, vetro, calcinacci, cenere. In alto vede le travi annerite delle scale che non portano da nessuna parte. Nel mezzo c'è un ammasso, quasi artistico, di ferri arrugginiti. Dappertutto delle pile di carte giallastre. Birnez raccoglie un pezzo di carta sgualcita. E’ un modulo per il prestito dei libri. Prova a decifrarlo. Il lupo delle steppe* era stato chiesto da un lettore qualche mese fa. Nevica attraverso l'armatura della vetrata rotta.
Birnez ascolta il rumore dei fiocchi che cadono lentamente sulle rovine della Biblioteca.
Un' ambulanza urla da molto lontano.


***


Una decina di camere esigue in fila servono da biblioteca provvisoria. Nei corridoi che le collegano sono depositate delle torri di cartoni accatastati. Sono di tutte le dimensioni: grandi, piccole, chiuse o aperte. Alcuni, probabilmente per via dei libri umidi che contengono, esibiscono grandi macchie d'umidità. Tutti sono stati tutti maltrattati durante un trasporto caotico. Alcuni sono malmessi o proprio sventrati e sembrano vomitare i loro libri mal digeriti. Lungo i muri, nei corridoi e negli « uffici », al suolo stesso o in mezzo alle stanze, altre pile di libri, di riviste e giornali...
Le finestre che danno sulla montagna sono chiuse da armadi metallici verde oliva riempiti di libri, che formano, in realtà, una protezione abbastanza efficace contro i tiri dei cecchini, ma non contro le granate. L’arredamento principale delle stanze è invece costituito da grandi tavole su cavalletti e da sedie spaiate. Dei mucchi di libri ingombrano qui e lì le tavole e qualche sedia. Una delle tavole serve da banco da lavoro al rilegatore, un giovane uomo con degli zoccoli ai piedi nudi che è molto concentrato sul restauro della copertina di un vecchio libro. Fischietta. Dei bibliotecari imbaccuccati in grandi cappotti ritagliano piccole schede di carta mentre qua e là alcuni radiatori freddi e spenti servono da scaffali per i libri.
Parecchie macchine da scrivere grigie Olympia risuonano attraverso le camere. Due biciclette da donna sono appoggiate contro un muro. Un uomo con una giacca nera consunta batte con rabbia sulla tastiera di un computer portatile. Porta un bracciale con l'iscrizione STAMPA (PRESS) a grandi lettere nere. Accanto al giornalista ronza un gruppo elettrogeno. L'aria è carica di un odore strano, una mescolanza di profumi di carta bruciata e bagnata allo stesso tempo, di colla e di cuoio umido.
Birnez passeggia da una camera all'altra. Tutti lo salutano con calore, gli chiedono notizie della sua famiglia, soprattutto di suo padre. Il giornalista, un grande reporter di Libération gli batte amichevolmente sulla schiena.
Nella camera in fondo Birnez riconosce una silhouette familiare, quella della signora Etsa. Sta parlando al microfono tenuto da una donna dai lunghi capelli biondi, vestita con jeans strappati. Un giubbetto anti-proiettile giace, buttato in modo disordinato, ai suoi piedi, una borsa di cuoio porta sulla tracolla l'iscrizione NBC *. Birnez ascolta con curiosità le parole della signora Etsa. La sua voce è stancata ma ferma e sicura. Dei frammenti del suo discorso sfuggono attraverso la porta socchiusa:

"determinati a proseguire il nostro lavoro nonostante tutte le difficoltà"
"soffriamo per la fame"
"manchiamo del materiale più elementare, carta e penne"
"c’è molto freddo"
« siamo riusciti a portar via dallo scantinato della biblioteca alcune decine di cartoni di libri"
" ci sparano addosso nelle file d'attesa per l'acqua ed il pane"
"non abbiamo fotocopiatrici"
"lavoriamo già sulla classificazione di pubblicazioni edite durante la guerra"


***


Birnez ritorna nella stanza dove lavora il reporter dove un suo amico l’ha appena raggiunto. Tutti e due stendono sul suolo tavole di foto e discutono a bassa voce in francese.
« Questa serie mi piace » dice mostrando una fila di foto che illustrano gli sforzi patetici dei pompieri che tentano di controllare l’incendio.
- “E Bertrand, come sta” ?
"Potrebbe andar meglio, la sua gamba è mal ridotta”.
- “Sei andato a trovarlo” ?
"Si, certo”.
E girandosi verso le foto :
-“Pare che gli attaccanti abbiamo tagliato l’acqua quando hanno lanciato le bombe incendiare e che un pompiere sia stato gravimente ferito”.
"Quando andrai a trovarlo” ?
Il ragazzo si avvicina, si alza in punta dei piedi per dare un’occhiata alle foto sopra alle spalle dei giornalisti.
Su uno dei rettangolini riconosce l’ascensore. E’ stato sfondato, la lampada a muro a forma di mezzo-giglio è rotta, c’è solo qualche pezzo di velluto rosso, bruciato e annerito dal fuoco. Birnez indica la foto e corre come un lampo :
« Signora Etsa, venga a vedere, venga presto ! »
I giornalisti si guardano senza capire .
Birnez si ferma di colpo sulla soglia della porta del’ufficio :
« Signora Etsa, per favore, venga presto a vedere il suo ascensore” !
La donna dai lunghi capelli biondi sta sistemando il suo materiale. Si gira verso la Signora Etsa : “ Ha un ospite Signora, sembra impaziente di parlarle”
Girandosi verso Birnez : “Cosa succede, ragazzo? Stai bene?”.
“I giornalisti francesi laggiù, hanno fatto una fotografia del suo ascensore”. “Venga subito” ! (Ha quasi detto il “mio” ascensore ma ha cambiato idea all'ultimo momento). La Signora sorride e tende la mano per accarezzargli i capelli. “Grazie amico mio, la tua visita mi fa molto piacere ma tu dimentichi qualcosa… palpeggia la sua canna bianca”.
Birnez diventa paonazzo e si mette a piangere d'imbarazzo.
“Scusi, mi dispiace tanto, mi era completamente dimenticato”.
E cade ai piedi della Signora Etsa.
Insospettita dalla scena la giornalista americana prende una tavoletta di cioccolata da sua borsa e la tende a Birnez. Quest'ultimo la rifiuta con disgusto.
L'articolo che l'americana invia quel giorno al suo giornale comincia con la descrizione dell'entrata tumultuosa di Birnez nell'ufficio della direttrice della biblioteca nazionale a Sarajevo.

***

Anche in tempo di pace febbraio non è un mese tranquillo nella città.
Gli abitanti di Sarajevo che non sono andati in montagna a sciare, soffocano nello smog, quel famoso inquinamento della città , un miscuglio di fumo, smoke, e nebbia, fog.
Può durare settimane intere.
L'inquinamento è prodotto dall'industria, dal riscaldamento e i tubi di scappamento delle automobili.
La guerra ha fermato l'inquinamento atmosferico poiché le fabbriche non sono più in attività, non c'è più riscaldamento negli appartamenti, né benzina.
Le rare automobili che circolano sono quelle dei soldati o di qualche giornalista.
Le automobili degli abitanti, sforacchiate dai proiettili stanno immobili lungo le vie grigie.
Un altro inquinamento ha preso il posto di quello vecchio, quello della paura e del freddo.


***


Attraverso le losanghe vuote del tetto a vetri della biblioteca, delle grosse nuvole grige lasciano filtrare dei raggi di un freddo sole d’inverno.
Al centro dell’atrio nella biblioteca, un uomo è seduto impettito su una sedia messa sopra un ammasso di macerie. Ha degli stivaletti di vernice nera coperti di una polvere fina. Ai suoi piedi, sopra una grossa pietra beige sta, in equilibrio, la punta d’acciaio di un violoncello.
Il musicista è vestito con abiti da concertista : smoking, farfallino grigio, camicia bianca splendente. Il solo elemento un po’ strano è un paio di vecchi mezzi guanti di lana nera. Fa qualche arpeggio per riscaldarsi le dita poi alza lo sguardo verso dei pezzi di vetro multicolore del tetto rotto che spuntano dall’alto dell’armatura. E se queste minuscole spade di Damocle* cadessero... ?
Chiude piano gli occhi, sorride e passa delicatamente le dita arrossate e screpolate sulle corde. Poi, con un movimento energico dà un colpo d’archetto come per provare la loro solidità. O quella dei suoi nervi...
A poco a poco, i suoni dell’Adagio di Albinoni* riempiono l’immensa conchiglia vuota della biblioteca. Quella musica racconta la pena, la solitudine, le lacrime e i pianti, ma tutto calmamente e con distacco. Dicono qualcosa come “ va tutto male, nessuno sa quanto tempo durerà, potrebbe diventare ancora peggio, non possiamo far altro che tentare di conservare la nostra dignità”.
La custodia di legno del violoncello, nera e vuota è addossata contro una colonna di marmo annerita dal fuoco in cui campeggiano delle scritte di gesso bianco :” benvenuti all’ inferno. No future!”. Nella penombra Birnez, guardandola, lotta contro l’immagine che gli viene in mente : una bara !
Come molti abitanti di Sarajevo prima di lui, è venuto a cercare della legna nelle macerie della biblioteca. Il suo sacco di iuta è quasi vuoto ma lui si lascia invadere dalla musica. Improvisamente però gli si gela il sangue. La bara si sta aprendo. Il ragazzo indietreggia e lancia un urlo di orrore : un lampo bianco e scintillante viene fuori della scatola. Il violoncellista smette di suonare. Il suo unico ascoltatore scappa a gambe levate.
Lo scheletro che usciva della bara è in realtà un semplice leggio per gli spartiti, quello che il violoncellista matto non usava quando suonava a memoria, ogni mattina dopo l’incendio, la stessa aria triste d’Albinoni…

***

Una vicina di Birnez, studentessa di lettere, ha improvvisato per i bambini annoiati una scuola e una biblioteca nella cantina del palazzo. Fa ridere, questa Snjezana - è il nome della ragazza - e soprattutto ha un morale di ferro.
Dopo aver fatto il giro degli appartamenti abbandonati o a metà distrutti del quartiere, ha ricuperato sedie, tavole, scaffali e soprattutto dei libri. Snjezana (Biancaneve in bosniaco) e molto meticolosa, tiene uno schedario dei suoi alunni e lettori, e, come dice la mamma di Birnez, è capacissima di dare una multa in caso di ritardo. Tutti ridono a questa osservazione : nessuno ha soldi a Sarajevo, nemmeno per comprarsi da mangiare !
Birnez va alla scuola di Biancaneve, prima di tutto per evadere dall’ambiente cupo dell’appartamento dove, pallida e smagrita, sua madre Hana erra come un’anima in pena. Ha la tosse giorno e notte. Quando Birnez la supplica di smettere di fumare, gli risponde che la sigaretta le impedisce di ammattire completamente. Lui non capisce. Esaurito dalle baruffe, scende nella cantina. La scuola improvvisata non gli piace molto. Secondo lui, Snjezana non insegna abbastanza la matematica o le scienze. Preferisce la letteratura, il disegno, il teatro, l’inglese, proprio quel genere di materie in cui Birnez non si sente a suo agio.
Inoltre gli alunni non sono suoi coetanei, alcuni riescono appena a leggere e scrivere, altri, come Birnez, sono capaci di risolvere delle equazione a due incognite. Le ragazze sono troppo grandi e troppo belle, qualcuna, truccata come una star del cinema, gli fa un po’ paura. Snjezana ha proposto un compito : « Una giornata nella mia vita ». Il compito di Birnez non era molto lungo:

Mi sono svegliato alle nove. Mi sono lavato subito perché fa troppo freddo. Poi non è semplice perché non c’è più acqua nei rubinetti. Ho bevuto una tazza di tisana e mangiato un crostino con un po’ di margherina. Sono andato a cercare l’acqua alla fontana. C’era molta gente. Tutti erano lì, nel fango, con secchi e damigiane. Un tipo ha fabbricato una slitta. E’ il suo cane, un pastore tedesco, che la tira. Ho fatto la fila per l’aiuto umanitario. Ho sentito una barzelletta nella fila : « se un vegetariano mangia verdura, che mangia un « umanitariano » ? Ho ottenuto un chilo di riso, due candele e un sapone.
Abito a Sarajevo dove c’è la guerra in questo momento. Ho appena compiuto dieci anni. Mio padre è ferito e mia madre non ha più lavoro perché il supermercato è stato distrutto e saccheggiato. Abbiamo sempre freddo e poco da mangiare.
Mi piacerebbe andare via da qui.

La composizione di Binez ha avuto un grosso 5 (il 5 è il più bel voto alla scuola elementare in Bosnia). Con la sua scrittura rotonda e piena di punti interrogativi a forma di paracadute, Snjezana ha aggiunto un commento con una matita rossa : Eccellente, caro Birnez ! Chiaro, conciso e realista ! Hai molto talento da giornalista ! Bravo !
Bisogna dire che Snjezana è incapace di dare a chiunque un voto inferiore a 5. Se un bambino ha fatto molti errori di ortografia, gli dà un piccolo 5. Se un altro ne ha fatti un po’ meno, un 5 un po’ più grande. Se sente che un bambino della sua classe è triste o depresso, anche se fa un sacco di errori, segna un 5 rosso rosso e aggiunge un sacco di complimenti. Ha spiegato ai suoi alunni che non le interessano gli errori di ortografia o di grammatica, quelle che le interessa è lo stile, la maniera di raccontare delle storie…
Tra i libri che lei recupera negli appartamenti devastati o abbandonati, alcuni finiscono
senza piètà dentro la piccola stufa a legno che serve a scaldare l’aula delle lezioni che è sotto terra. Ci sono soprattutto libri di propaganda comunista-marxista-leninista stampati con carta molto spessa che si consuma lentamente e libera un buon calore.
Un altro uso intelligente di questi grossi libri di propaganda è quello proteggere le finestre, che sono troppo esposte ai tiri dei cecchini ed anche ad isolare gli appartamenti dal freddo.
Una volta ogni due giorni, Birnez va a trovare suo padre e il fotografo. Recentemente sono stati trasferiti in un’altra ala perchè la camera che occupavano era troppo esposta ai bombardamenti. Il fotografo ha imparato qualche parola di bosniaco. Ogni tanto, quando non sta troppo male, fa una partita a scacchi con il papà di Birnez. Questo gioco è perfetto per il fotografo che ha un po’ meno fasciature e sembra stare meglio ma continua ad avere la gamba sospesa in aria e immobilizzata sull’altalena.


***


“ Vozdra* ! Come va ?” lancia dalla porta. I due feriti stanno giocando a scacchi. Nella camera regna il silenzio e i malati sembrano due statue. Sono talmente concentrati sul gioco che Birnez si avvicina senza che se ne accorgano.
“ Papà ! La mamma ed io andiamo all’estero !”
Il padre di Birnez mette da parte la scacchiera, circonda le spalle del figlio.
“E un’ottima notizia !”
Il fotografo osserva la scena senza capire.
“Ma tu, che ne sarà di te ? Come te la caverai senza di noi ?” chiede Birnez.
“ Comunque, non posso muovermi e poi, una volta guarito, c’è bisogno di me per difendere la città. Ma sono molto contento che voi due siate al sicuro ».
« Non preoccuparti papà, la guerra finirà presto. La mamma ed io ritorneremo presto e tutto sarà come prima”, dice Birnez, senza troppa convinzione.
Poi si gira verso il fotografo :
« Vado nel tuo paese, in Francia »
La faccia del fotografo s’illumina. Cerca nelle sue cose, scarabocchia qualche parola su un pezzo di carta.
« Se hai bisogno di qualcosa, puoi telefonare a questo numero. Buona fortuna mali (piccolo) ! »

***


Un’ immensa folla di viaggiatori si accalca alla stazione delle corriere. Ci sono soprattutto molte donne e bambini. Tutti hanno un’aria eccitata. Tre grandi autobus sono posteggiati davanti. Parecchie persone con una fascia al braccio con l’immagine di un’associazione umanitaria francese tentano di gestire la situazione. Agitano delle liste dove sono iscritti nomi dei candidati che hanno la fortuna di fuggire l’inferno di Sarajevo, di salvare la loro vita e quella dei loro bambini. Ma loro si lasciano dietro genitori anziani, mariti, figli e non sanno se li rivedranno mai.
Anche Birnez e sua mamma sono lì con una gran borsa. Snjezana li accompagna. Le famiglie intorno a loro si stringono, si baciano, danno dei consigli, degli incoraggiamenti.
Birnez ha un nodo in gola e si sforza di non piangere. Osserva un uomo in tuta che accarezza a lungo il vetro del pullman. Dietro quel vetro, schiacciato comicamente ad esso, c’è il visetto di un bambino che piange.
I volontari dell'associazione umanitaria sono tutti nervosissimi. Non riescono a pronunciare i nomi della gente del posto che suonano barbari per le loro orecchie e i passeggeri, a loro volta, non possono riconoscere i loro nomi così mal pronunciati. Dopo un po’, Snjezana propone di dare una mano. Con la sua voce forte e sonora la ragazza chiama i nomi dei candidati all'esilio…
Birnez deve ammettere che è una ragazza straordinaria e gli dispiace di non essersi applicato un po’ di più in francese e nelle altre materie.
I due autobus sono già partiti e il terzo è quasi completo. Birnez e sua mamma non sono ancora stati chiamati. Sono lì dalle 9 del mattino ed è quasi mezzogiorno. Resta solo un posto per l’organizzatrice...E noi ? E noi ? Birnez e sua mamma si precipitano sulla volontaria. Lei, sfinita li respinge bruscamente. Non trova i loro nomi sulle sue liste. Snjezana si mette in mezzo, spiega che si tratta probabilmente di una semplice omissione. La mamma di Birnez tira fuori tutti i documenti che provano che anche loro dovrebbero partire.
“Ma l’autobus è completo ! E non si può correre il rischio di caricare gente che non è prevista perchè ai check points* non la lasceranno passare.”
“Ma hanno tutti i documenti necessari...” Snjezana non cede.
Deve solo aggiungere i loro nomi sulle sue liste. Lo posso fare io, se vuole. Troveremo dei posti per loro. Voi, venite con me.
Snjezana sale nell’autobus, trova una fila dove sono sedute due ragazzine :
“ La signora si siederà tra le due ragazzine e Birnez si metterà sul seggiolino”!
Tutto bene. L’autobus può partire. Snjezana agita le mani in segno d’addio. Birnez non può fare a meno di piangere.
Passati parecchi check points all’uscita della città , la campagna, innevata, sembra idilliaca là dove sono però nascoste milizie tchetnicks armate fino ai denti. I viaggiatori sono silenziosi, solo un bimbo urla come un lupacchioto affamato. Le donne sono pallidissime, hanno le guance incavate e delle facce preoccupate.
I tre ragazzi fanno conoscenza presto. Leîla ha dodici anni, Mirela, che ha sette anni, ha un gran problema : non ha potuto portare via le sue 12 bambole Barbie con i loro vestiti e gli accessori. “Ti rendi conto, Birnez” ? “No, mi dispiace”.
Sorride stupidamente ascoltando i piagnistei della piccola. Sua sorella grande la fulmina con lo sguardo... Birnez la spia con la coda dell’occhio.
La trova bellissima e non gli fa paura per niente.

***

Saint-Brieuc, 2 giugno 1993


Caro paparino,

Mi sono finalmente deciso a scriverti una lunga lettera per darti un’ idea della nostra vita, qui in Francia. Mi manchi terribilmente e anche alla mamma.
Dopo avere lasciato Sarajevo, abbiamo attraversato città senza guerra. Eravamo molto sorpresi di vedere lampadari accesi, negozi aperti, cinema, vetrine illuminate. La gente caminava tranquillamente per le strade...
Il pullman ha fatto una prima fermata a Spalato dove mi sono comprato 10 gomme americane. Avevo completamente dimenticato quel gusto.
Nel pullman ho conoscuto due ragazze. Oggi, siamo nella stessa scuola. Sono fortissime, soprattutto Leïla che ha quasi la mia stessa età. Sua sorella si chiama Mirela. I primi tre mesi, eravamo nella classe per stranieri dove nessuno sapeva parlare francese. Oggi siamo nella scuola vera con i bambini francesi.
Sono stato invitato ad una festa di compleanno con le mie amiche. All’inizio, eravamo bombardati di domande su Sarajevo, la Bosnia, la guerra, i bombardamenti, i cadaveri, i cecchini… Ma si sono stancati di noi molto presto e se ne sono andati via a divertirsi tra di loro. Mirela ha avuto allora un’idea fantastica… ha urlato : “ E sapete una cosa, ho lasciato a Sarajevo le mie 12 Barbie, con i loro vestiti e tutti gli accessori”.
Allora tutti sono ritornati verso di noi. Tutti, specialmente le bambine, hanno trovato questo troppo triste e ingiusto. Così, Leïla ed io, che prendevano sempre in giro Mirela la piagnucolona, abbiamo ritrovato degli amici. Questo ci ha fatto ridere a crepapelle.
Caro paparino, ti mando un miliardo di baci.

Birnez



GLOSSARIO





Alessandria : Città dell’Egitto, famosa per la sua biblioteca bruciata durante un assalto dei soldati di Giulio Cesare (nel 48 a.C.). La biblioteca è stata ricostruita nel 2002.

Albinoni, Tommaso (1671-1750) : Compositore italiano.

Atrio : un cortile all'interno di un edificio.

Bascarsija (si pronuncia Baschcarsciia): quartiere musulmano nel centro di Sarajevo costruito nel Seicento. E’ un quartiere candidato per la lista del patrimonio culturale mondiale dell'Unesco.

Boudoir (in francese) : piccolo salotto privato femminile.

Cappuccino : credo che non sia veramente necessario spiegare questo agli Italiani !

Cetnik (si pronuncia cetnik) : estremista serbo convinto della necessità della « purificazione etnica ». Durante la guerra (1992-1995) hanno lottato per sterminare a Sarajevo (e in tutta la Bosnia) tutti quelli che non erano Serbi. Prima della guerra tutti abitavano insieme, Musulmani, Serbi, Croati, Ebrei, Albanesi, Macedoni e altri popoli. Oggi la Bosnia è divisa in due entità (una parte serba e una parte croato-musulmana).

Cevapcici (si pronuncia cevapcici) : piccole polpette di carne e cipolla accompagnate da panna, una specialità bosniaca.

Comunista-marxista-leninista: dottrina politica del XX secolo che ha avuto molti seguaci nell’Europa centrale.

Corano : Il libro santo dei musulmani.

Damocle : nobile appartenente alla cerchia di Dionisio Antico, un tiranno greco di Siracusa. Dionisio aveva invitato Damocles a un banchetto, poi sopra la sua testa aveva sospeso una pesante spada attaccata ad un crine di cavallo. Allora l'espressione « spada di Damocle » significa tutti i pericoli che ci minacciano.

Dorico : il piu antico stile dell'architettura greca.

Fez : una calotta di lana, bianca o rossa, ornata spesso con un fiocco nero.

Francescano : che appartiene ad un ordine religioso cattolico che è stato fondato da San Francesco d’Assisi.

Haggadah : un antico libro ebreo di preghiere che risale a 500 anni fa ed è stato scritto in Spagna. La « haggadah » è il rituale per la sera pasquale con le preghiere e i poemi speciali per la ceremonia. Contiene la storia della fuga dall’Egitto del popolo ebraico.

Guzla : strumento di musica con una sola corda.

Ospedale di Kosevo : porta il nome del quartiere dove è situato.

Igiafonico : dal greco 'hugies'= sano e 'phone= voce. Vetro trasparente e perforato che assicura le condizioni igieniche ad uno sportello.

Loukoum : un dolce orientale molto zuccherato.

Markalé : un mercato del centro di Sarajevo, parola bosniaca che viene dal tedesco 'Markthalle'.

Miljacka (si pronuncia Miliatska): il fiume che attraversa la città di Sarajevo da Ovest a Est.

Moschea di Bei : Il più grande monumento islamico del paese, costruito nel 1530.

Museo Zemaljski : Museo nazionale della Bosnia-Erzegovina, inaugurato nel 1888.

NBC : Abbreviazione per National Broadcast Company, un’agenzia americana di stampa.

Sefarditi : Ebrei originari dell’ Africa del Nord.

Sidran, Abdulah : Poeta e sceneggiatore bosniaco.

Sniper : Soldato armato con un fucile con il mirino e che si mette in cima di un edificio o una collina. In italiano « cecchino ». Durante la guerra un viale di Sarajevo particolarmente pericoloso portava il nome di ''Viale dei cecchini''.

Tito, Josip Broz (1899-1980) : Capo dei partigiani comunisti durante la Seconda guerra mondiale, presidente della ex-Yugoslavia.

Uspinjaca (si pronuncia uspiniazca) : Funivia che unisce la cima del monte Trebevic al centro della città.

Vijecnica (si pronuncia viec(i)niza) : Edificio nel quale si trovava la Biblioteca Nazionale della Bosnia-Erzegovina. Inaugurata nel 1896. All’inizio era il Municipio.

Vozdra : Salve ! Ciao ! (in gergo bosniaco).

Yugoslavia : Nel 1944, il maresciallo Tito, vincitore dei nazisti, ha creato la Repubblica socialista della Yugoslavia con le regioni in cui abitavano i popoli slavi del Sud. Il paese era costituto da sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia) e due regioni autonome, Voivodino e Kosovo. La Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina sono diventati paesi indipendenti. Nel 2004, la Serbia, il Montenegro e Voivodino formano un paese che si chiama Serbia-Montenegro. Il Kosovo è amministrato dalle Nazioni Unite.

Zurna : Strumento musicale a fiato che assomiglia ad una sorta di trombetta di legno. Il suo suono stridente richiama quello di una cornamusa.

mardi 24 avril 2007

CAMBIO




Circondata da Safia e da Barnaba, Paolina, mascherata da Ottomana, esplora l'orizzonte con un canocchiale. Porta dei mezzi-guanti di pizzo nero. E' vestita "alla veneziana": un lungo abito di velluto color malva, una mantellina in broccato verde chiaro, un grande cappello a tesa larga sopra al quale ha legato un'ampia sciarpa gialla. Qualche ciuffo nero sfugge dal cappello e ondula per la brezza. Safia è vestita "all'orientale", con pantaloni a sfuffo coloro castagna ed un immeso velo che l'avvolge. Barnaba si batte con la spada contro un avversario immaginario. Salta davanti, di lato, quindi indietreggia abbassandosi. Faruk Bay si avvicina al gruppo sorridendo.

Faruk Bey: Buongiorno a tutti! Come va? (girandosi verso Safia).
Amica mia, state meglio, voglio sperare?
Safia (sospirando): Bene, bene. Grazie, signore, ma ho sempre uno spaventoso mal di testa.
Faruk Bey (fa finta di avere timore di Barnaba che tocca con la spada il cuore del suo avversario invisibile): Bravo ragazzo mio ! Che coraggio !
Faruk Bey (parla a quella che crede essere sua figlia): Costantinopoli è già visibile?
Paolina (delicatamente, provando ad imitare la voce di Ottomana): Non, padre, non ancora.
Faruk Bey (un po' sorpreso): Hai male alla gola, carissima?
(Paolina scuote molte volte la testa in segno di negazione. )
Faruk Bey (ansioso): Sei sicura?
Safia (osserva con insistenza le dita della ragazza): E da quando in qua la signorina Ottomana si mangia le unghie?
Paolina (fa finta di non sentirla, continua a guardare con il canocchiale, se ne va).
(Faruk Bey et Safia vanno vicino a Paolina che indietreggia).
Faruk Bey e Safia (insieme): MA NON SEI OTTOMANA!!!
Faruk Bey (afflitto): Dove è mia figlia? DOVE?
Barnaba (gli pone una mano sulla spalla): Signore, vostra figlia è ora a Venezia. Rassicurate vi, la nostra Ottomana sta bene. Ecco una lettera che ha preparato per voi.
Safia (porta una mano alla testa): Dio mio! Anche Barnaba è complice! (cade per terra)
Faruk Bey (una volta va verso Safia, poi verso Barnaba, quindi si gira verso Paolina): Ma chi è dunque questa creatura?
Paolina (si toglie cappello e parrucca): Signor ambasciatore, mi riconoscete ora?
Barnaba (va verso Paolina) : Ma dài Paolina, il Signor Faruk Bey ti ha già riconosciuto, non esagerare ! Sai bene che gli orientali non sopportano la vista dei peli di una donna …

mercredi 4 avril 2007

Paolina e Ottomana



ORCHIDEA :

''Signore, Signori; Mesdames, Messieurs; Ladies and Gentlemen !

Buonasera ! Buonasera a tutti !
Mi chiamo Orchidea ed ho il grande onore di presentarvi la commedia della nostra compagnia teatrale « Il Divanetto ».
Questa sera cercheremo di divertirvi, di far ridere o almeno sorridere.

Dunque, dunque…statemi bene a sentire!

Siamo nel ‘600, e la nostra storia si svolge nello stesso tempo a Venezia e a Costantinopoli. Stasera tutto è possibile !
Conoscete queste due città ? Certo, certo. Naturalmente scherzo. Chi non le potrebbe conoscere ?

E volete sapere l’argomento della nostra commedia ? Ebbene, è davvero semplicissimo: si tratta di amore, di cuore, di fiori, di passione, di gelosia, di spionaggio e di tante altre cose che, se avrete la pazienza di sentire, noi vi racconteremo.

Ed ora si alzi il sipario!

Cominciate dunque a conoscere la nostra cara Ottomana.
Ottomana è una bellissima ragazza, bella ma molto disperata, poverina, perché suo padre, il grande signore Faruk Bey, l’ha promessa in sposa ad un vecchio riccastro turco che lei non ha mai visto e che ha già sei, dico sei, mogli !

Guardate e sentite come tutto questo è successo tanti, davvero tanti anni fa…"


Dialogo 1: Annuncio di matrimonio


In un palazzo sontuoso di Costantinopoli.

Ottomana (piangente) : Padre, non è possibile ! Non l'accetterò mai !
Hai capito! MAI !

Faruk Bey : Figlia mia, sii ragionevole. E' un marito ideale, ricco,
influente...

Ottomana : Non mi interessa ... Non l'ho mai visto. E poi ha già sei mogli. Come puoi farmi questo? Pensavo che tu mi volessi bene ...

Faruk Bey: E' vero, ti voglio bene ...

Ottomana: (piangente sempre più forte) : Non è vero! Sogno. Che schifo ... Voglio morire. (cade a terra)

Faruk Bey : Oh, Dio mio ! Che cosa ho fatto ! (prende la mano della
figlia) E' svenuta ! Aiuto ! Ottomana ! DOTTORE ! DOTTORE !


ORCHIDEA :

«Poverina ! POVERINA !»
Per divertire sua figlia, il padre decide di portarla a Venezia. Funzionava allora una linea marittima quasi regolare fra Costantinopoli e Venezia. Dico 'quasi' perchè qualche volta le navi erano attaccate da pirati oppure da tempeste dell’Oceano Indiano…, Atlantico o Pacifico.
Scherzo, ma scherzo naturalmente, voglio dire del Mar Mediterraneo mosso.

(Nel sottofondo, una banda sonore (soundtrack) d'un mare scatenato, i gridi dei pirati, il rumore delle spade, le detonazione dei fucili)

Avete sentito? Mamma mia! Ma rassicuratevi subito: la nave a vela che trasportava Faruk Bey, Ottomana, la sua fedele balia Safia, e anche una folla di commercianti di tutte le nazionalità è fortunamente arrivata senza problemi nel porto di Venezia. Ma comunque il viaggio ha preso quasi DUE mesi. Sapete perchè era tanto lungo ?


(Con una voce professorale) « Perchè in quest’ epoca, cioè nel Cinquecento, ragazzi miei, il Canale di Suez non esisteva ancora… »

(Orchidea fa una breve pausa … aspettando una reazione del pubblico).

“Come ? Che cosa volete dirmi !
(Con una voce ancora più professorale) Per-fet-ta-mente, fanciulli e fanciulle, siccome il Canale di Suez non esisteva ancora, in quell’ epoca si doveva navigare lungo tutte le coste africane…americane… australiane…, eccetera eccetera. (Con la mano e i gesti comici Orchidea disegna l’itinerario immaginario della nave. Poi fa una pausa per ascoltare le reazioni del pubblico che normalmente dovrebbe protestare).

« Ma per favore, naturalmente, scherzo ancora. Volevo sapere se seguite o no … »

Ma riprendiamo il filo della nostra storia : Faruk Bey, il Direttore d’un cantiere navale a Costantinopoli, va a Venezia anche per (pianissimo)
S p i o n a g g i o. La sua intenzione è di proporre al Sultano una rete di gondole sul canale del Bosforo. Per fare questo, deve stabilire un contatto con gli artigiani veneziani e scoprire il segreto della fabbricazione delle gondole.

Ma shuut ! Silenzio ! Vedrete tutto questo dopo !

« Adesso … guardate ed ascoltate le prime impressione di Ottomana e Safia su Venezia !


DIALOGO 2 : INCONTRO

Davanti allo squero, Paolina scopa e canta. Ottomana e Safia arrivano dall'albergo 'Il due pavoni' e si fermano sul ponticello che si trova tra l'albergo e lo squero.


Ottomana : Ascolta un po' ! Che bella canzone !

Safia : E' vero, mi piace molto …

(Paolina alza la testa verso il ponte e continua a cantare)

Ottomana (come in uno sogno) : Vorrei conoscere questa ragazza … E proprio bella, mi sembra che lei …

Safia (alza un dito) : Ottomana, ti prego …

Ottomana (con impazienza) : Ma dai Safia …

Safia (pianissimo) : Siamo in una città che non conosciamo ancora. E' la prima volta che usciamo dall' albergo. Questa ragazza è la prima persona di Venezia che vedi e tu vuoi conoscerla a tutti i costi ! Sei troppo audace … troppo !

Ottomana (con impazienza crescente) : Basta Safia per piacere …

Safia (con autorità) : Andiamo via ! Subito !

Ottomana : Rimango qui. Voglio parlare con lei. Se tu vuoi, va, non mi interessa.

Safia (sospira) : Ottomana, tuo padre …

Ottomana ( con una voce arrabbiata) : Mio padre ! Mio padre ! Faruk Bey non vuole cosi, Faruk Bey non sarà contento … Basta basta basta !…Non ne posso più.

Safia (con pazienza) : Andiamo a vedere il ponte di Rialto. E' un luogo molto famoso ed è qui vicino.

Ottomana : Non voglio fare la turista stupida .

Safia (sorpresa) : La che? La tu-ri … ? Ma cosa stai dicendo?

Ottomana : Scusami, cara Safia, è una parola che tu non conosci ancora. E' normale perché tu sei un po' … (si tocca la tempia con un l'indice)

Safia : OTTOMANA !

Ottomana : Scusa, nono volevo offenderti. La verità è che nessuno conosce questa parola. L'ho inventata io adesso.

Safia : Che cosa vuoi dire ?

Ottomana : Il turista è una persona che si interessa soltanto dei luoghi e dei monumenti famosi, parla esclusivamente con i camerieri e qualche volta con i poliziotti, poi torna a casa e dice che ha conosciuto una città o un paese.

Safia (perplessa ) : Basta Ottomana, la tua immaginazione galoppa. Non ti capisco…Tutto questo non esiste oggi..

Ottomana : Si si sì sfortunamente, perche tu sei un prototipo della turista, sei qui …

Safia (ancora più perplessa) : Ma che cosa è un proto …

(Ottomana non la bada e corre verso Paolina. La balia la segue comicamente. Paolina smette di cantare prende i pezzi di legna che ha scopato e vuole le buttarli nel canale.)


Ottomana (con allegria) : Buongiorno ! La vostra canzone mi è molto piaciuta molto! Grazie !

Paolina (con un grande sorriso e una piccola riverenza) : Di niente ! Non è niente di speciale (guarda con curiosità i vestiti orientali delle due donne) Quest'anno vi siete mascherate troppo presto. Non siamo ancora a Carnevale.

Ottomana (offesa) : Signorina, non siamo mascherate.

Paolina (sinceramente) : Mi scusi. Non volevo offendervi. Pensavo ..

Safia (prende la mano di Ottomana) : Andiamo via Ottomana!

(Ottomana e Paolina si guardano negli occhi per un lungo momento e poi tutte e due ridono nello stesso momento)

Paolina : Io sono Paolina ! E tu?
Ottomana : Ottomana ! E questa signora è la mia balia e si chiama Safia.

Paolina (fa una piccola riverenza) : Piacere. Sono molto contenta di conoscervi !

Ottomana (fa una piccola riverenza) : Anch' io !


(Le due ragazze prendono la mano di Safia e ballano insieme, musica di Vivaldi di sottofondo)


DIALOGO 3: LA NEVE


La neve a Venezia sul sottofondo. Per fare questa illusione bisogna agitare sopra della cartolina di Venezia due o tre cuscini con piume, lacerate. Ottomana, Paolina e Barnaba hanno in una borsa qualche gomitolo di lana bianca che serve come palle di neve. Dapprima Ottomana corre lungo il campo, cercando di prendere nella bocca i fiocchi in aria. Arriva alla porta dello squero Bluastro. (L'appartamento della famiglia si trova al primo piano.)

Ottomana (suonando energicamente) : Paolina ! Barnaba ! PAOLINA ! BARNABA !

Paolina (alla finestra, si stira, sbadiglia) : Cosa è successo ? Che cosa c'e ?

Ottomana (con la sorpresa nella voce) : Paolina, non vedi niente ? Non è possibile ! Apri gli occhi tuoi !!!

Paolina (con emozione) : NEVICA ! Vengo subito. BARNABA ! Svegliati ! Ottomana è arrivata. NEVICA !

Davanti allo squero i tre ragazzi giocano con la neve, lanciano le palle. Safia arriva imbacuccata in molti vestiti, scialli ecc

Safia (con pazienza) : Signorina Ottomana, ritorniamo a casa prego. Tuo padre … Cerca di essere ragionevole. C'e freddo ! … Non sei piu una bambina…

Ottomana (lancia una palla di neve in direzione di Safia) : Si. Si! SI, sono una bambina e non voglio andare all'albergo. Mi annoio … Sei penosa, Safia … E il padre e ….questo e quello… NO! NO! NO !

Safia : Faruk Bey non sarà contento … te lo dico.

Ottomana non la bada, l'attacca con le palle. Safia se ne va brontolando.

DIALOGO 4: CARNEVALE


Paolina e Ottomana accompagnate da Safia che fa un grande sforzo per seguire le due ragazze. Le tre donne fanno una passeggiata in un quartiere tipico di Venezia con le calli strette, i canaletti e i ponticelli.


Paolina : Vuoi essere un Arlecchino ?

Ottomana : Che cosa è?

Paolina : E’ un personaggio del Carnevale molto piacevole. È vestito con un costume a molti colori. Il suo vestito con losanghe o triangoli somiglia ad un pigiama … L'Arlecchino porta di solito un cappello con le corne multicolore e le picolle campanelle.
Te lo farò vedere a casa mia.

Ottomana : No lo so ancora come mascherarmi, ma a prima vista l'Arlecchino mi sembra meglio per un uomo. Forse mio padre può essere un Arlecchino … (con sorriso) oppure Barnaba.

Paolina (malziosa) : Il Signor Faruk Bey non deve preoccuparsi per il Carnevale ! È già quasi travestito!

Ottomana : Non ho capito. Che vuoi dire ?

Paolina : ITuo padre è già mascherato da ricco principe orientale. Bisogna che si metta soltanto una bauta, e basta cosi !

Ottomana (con una voce offensa) : Mio padre non è mascherato. I suoi vestiti sono normali a Costantinopoli …

Paolina : Mi dispiace, non volevo offenderti, Ottomana, scusa. Ho voluto scherzare un po’. Non prendertela, ti prego, Ottomana !

(Ottomana non vuole ascoltarla, corre davanti e si nasconde dietro un muretto. Dal sottofondo si sente la voce lontana di Safia, che va crescendo)

Safia (sempre invisibile): Ragazze ! Dove siete ? Ottomana ? Paolinaaaaa OTTOMANAAAAA ?

(Safia arriva sulla scena, prima soltanto la sua testa è illuminata, poi tutto il corpo. Safia cammina verso destra, poi verso la finestra, esita, finalmente si ferma e si siede a terra. Paolina e Ottomana rimangono nell’ oscurità durante il monologo di Safia)

Safia (con una voce lamentosa) : Mamma mia, dovrei domandare un aumento a Faruk Bey. Il mio lavoro è proprio troppo difficile! OTTOMANA ! Dove sei ? È così facile perdersi in questa città PAOLINA !
(piano) Dappertutto c' è questa acqua grigia che non si muove, non è trasparente … Mi fa paura. (con una voce forte ) RAGAZZE, dove siete ? (pianissimo, come una confessione) Mi sembra talvolta che questa città non esista veramente, è uno scenario dimenticato, è un sogno. I veneziani sono i fantasmi, gli spiriti degli attori d'una commedia antica… Sono tutti morti mille anni fa.
(Il ' miaou' d' un gatto si sente. Bruscamente Safia si volta, poi continua con una voce nostalgica) Anche Costantinopoli è un’isola, c' è anche il mare, c' è un Canal grande, c' è tanta gente che come qui dorme mai. Ma a Costantinopoli tutti sono vivi, la loro pelle ha il colore del caffè, e il sangue è rosso … e caldo. Loro sudano. Sputano. Gridano. Di più a Costantinopoli è facile sapere dove si trova il cielo e dove è la terra. Da qui non so veramente la differenza fra 'su' e 'giù'. (Sospiro)
E poi in Turchia non c' è tutta questa maledetta umidità che entra profondamente nelle mie ossa e mi fa male. (Un altro' miau' si sente più vicino)
Stasera domanderò un aumento a Faruk Bey … o almeno un piccolo regalo.

OTTOMANA (salta dal muretto davanti Safia) : Miau ! Un piccolo regalo ? !

PAOLINA ( abbraccia la balia) : Per piacere, cara Safia, non arrabbiarti. Abbiamo discusso d'un argomento importantissimo, non abbiamo fatto attenzione. Mille scuse !!

OTTOMANA : Ti dò subito un regalo. Guarda ! (Ottomana le mette la maschera d' El Medico dea Peste.) È perfetto !
(Le due ragazze mettono le maschere, prendono le mani di Safia e tutte le tre fanno un girotondo allegrissimo su un’ aria delle Quattro stagioni di Vivaldi.)
(I tre giovani sono nella sala d'attesa dove il Signor Bluastro riceve i suoi clienti. Paolina e Ottomana sono sedute su delle poltrone una di fronte all’altra. Davanti a loro, Barnaba è disteso su un divano, gli occhi chiusi, una mano sotto la testa. Durante il dialogo, il pubblico segue sul suo viso le impressioni che causano in lui le confidenze delle due amiche.)



DIALOGO 4: DIALOGO DI AMORE

Paolina : E tu, che sai dell' amore ?

Ottomana : (abbassando gli occhi, sorride timidamente) : Niente …niente. Ma perché mi chiedi questo? (dopo una breve pausa) E tu ?

Paolina: Anch’io, non so niente … o quasi niente.

Barnaba: (fa un piccolo sorriso scettico)

Ottomana : Sei sicura che tuo fratello dorma ?

Paolina (si alza, va verso il divano): Completamente. Ha lavorato tutta la giornata, è molto stanco.

Ottomana : Credi all’amore a prima vista ?

Paolina : (riflette un po’) Mi sono spesso chiesta come si può amare qualcuno e desiderare di essere toccata, accarezzata ? Come si può avere del piacere a scambiare la saliva, per esempio, con qualcuno? Normalmente non si vuole neppure essere troppo vicini a uno sconosciuto, questo li fa orrore …

Barnaba : (apre i suoi grandissimi occhi)

Paolina: Per me questo è la prova che l'amore a prima vista esiste ed è anche una prova della famosa teoria famosa di Platone…

Ottomana (molto teatrale) : L'uomo e la donna sarebbero separati dalla volontà degli Dei gelosi. Tutta la vita, si cercano ed a volte si trovano.

Paolina : Giustissimo !

Ottomana (pianissimo) : Puoi immaginare, cara Paolina, che il padre mi ha trovato a Costantinopoli un marito che ha già sei mogli …

(Paolina sorpresa per la rivelazione improvvisa, lancia un grido. La fronte di Barnaba si piega, anche lui lancia un grido, ma rimane muto …)


Paolina : Non ti credo, che cosa dici ?

Ottomana (con un'ironia amara) : E’ un’ottima prova dell’amore paterno …

Barnaba: (sempre più indignato)

Ottomana : E’ ricchissimo, influentissimo, vicino al Sultano …

Paolina : Il Sultano ???

Barnaba (muto) : Il Sultano !

Ottomana (con una voce indignata) : Poverina me, non sai che il Sultano è l'uomo più triste e più solo del nostro Impero ? Che lui vive con una spada di Damocle sopra la testa. Tutte le sue mogli, fratelli, zie, zii fanno lotte permanenti per accaparrarsi il potere e il trono. Il sultano è come un uccello in gabbia. Il suo unico piacere è un giardino di tulipani che ha fatto piantare davanti alle finestre della sua prigione dorata.

Paolina : INCREDIBILE !

Barnaba (muto) : Incredibile !

Ottomana (energicamente) : Voglio rimanere a Venezia ! Lavorerò !

Paolina (con un sorriso) : Che cosa sai fare ?

Ottomana : Giocare a lauta (Suada, cosa volevi dire ?), ricamare (ma non mi piace, mi annoia), … parlare francese …

Paolina : Sai scopare ?

Ottomana : Non l'ho mai fatto, ma mi sembra facile … Ti ho osservata qualche volta farlo. Posso provare ?

Paolina ; Sì, certo. Un attimo !

(Se ne va, poi torna con una scopa che dà a Ottomana, e una parrucca marrone che mette sulla testa. Poi fa una grande occhiata (e qui ? fait un clin d’œil ??) al pubblico )


DIALOGO 5: UNA NOTIZIA IMPORTANTISSIMA


Nella loro stanza privata dell’albergo FB legge una lettera. Ottomana gioca con le maschere e le parrucche con un bellissimo specchietto in mano.Safia ricama.


Faruk Bey (ripiegando una lettera) : Mie care … una notizia importantissima !

(O. e S. si fermano e l’osservano con aria interrogativa)

FB (molto serio): Dobbiamo ritornare presto a Costantinopoli…

Ottomana (gridando) : No ! NO !!! Padre !

FB (osservandola con rimprovero) : Tesoro, sii ragionevole… (e girandosi verso Safia) : Safia, per favore, comincia a preparare le valigie. (sospirando) Prima le valigie di Ottomana, che ha comprato una montagna di cose inutili…

O : Non può essere vero ! Non voglio partire ! Rimarrò qui !

S Si alza e cerca di prendere le maschere dalle mani di Ottomana…

O : Lasciami ! Lascia stare queste maschere ! (poi, rivolgendosi al pubblico) Una vera strega!

FB (paziente) : Figlia mia, non comportarti come una bambina viziata !

S (rivolgendosi al pubblico) : Ma Ottomana è una bambina viziata !

O (con ardore) : Ma perché poi dovremmo ritornare a Costantinopoli ? Dimmi perché ? Non abbiamo ancora finito la nostra missione… E poi… Non voglio prendere ancora la nave. Mai più ! Ho il mal di mare, lo sai ! (girandosi verso Safia) Anche tu hai il mal di mare, Safia !

S (rivolgendosi al pubblico con un’espressione di profondo disgusto)
Sì, è vero! Ma…

FB (stanco e impaziente) : Adesso non posso spiegarti, non puoi capire. Obblighi superiori…

O (ironica verso il pubblico) : Obblighi superiori !... (guardando FB) : Eh no ! Io resto a Venezia ! Non voglio partire !

FB (mettendosi le mani alle orecchie per non sentire e poi girandosi verso Safia) Se qualcuno mi cerca, sono nella bottega del Signor Bluastro ! Grazie Safia ! A presto.


DIALOGO 6: NELLO SQUERO

Nello squero di Bluastro. Barnaba lavora con uno scalpello su una gondola posta nel centro della stanza. La gondola è ornata d’una piccola stella azzura, cioè la marca della casa BLUASTRO. Il signor Bluastro fa un disegno davanti ad un cavalletto. La signora Carla scrive con una penna e il calamaio su una pergamena.

Signora Carla ( sotto voce) : Tremilacinquecento più milleduecentosettanta …

(Si sente il suono di una piccolo campanello: … Dring …dring …dring …)

Signora Carla: Avanti !

(Faruk Bey entra. Il suo vestito è sontuoso, ha un turbante con molti gioielli, è un bell’ uomo elegante.)

Signor Bluastro (con le braccia aperte) : Oh Signor Ambasciatore, entri per piacere ! Che bella sorpresa la sua visita improvvisa! Entri, Illustrissimo ! Entri per favore !

FB : Signora Carla, Signor Bluastro, Barnaba, come state ? Tutto bene ?

SC, SB, B (insieme) : Benissimo, grazie mille !

FB : E la bella Paolina ? Sta bene ?

SC (con grande sorriso ) : Sì, sì, Illustrissimo. Benissimo. E Ottomana ? Le piace sempre Venezia?

FB (con un piccolo sospiro) : Moltissimo. Grazie !

SB : Prenda una sedia, per piacere . Illustrissimo, questa poltrona è molto più comoda.

FB (si siede ): Caro Signor Bluastro, Signora Carla, prego, non datemi sempre dell’ « ambasciatore » o dell’ « illustrissimo ». Vi ho già detto, sono come voi …un lavoratore … un artigiano.

SB : Oh! Oh! Signor Faruk Bey è troppo modesto. Senta, non siamo proprio della stessa classe, ma le sue parole ci fanno un grande onore.

FB : Signor Bluastro, io sono fortunato di conoscerLa, di conoscere Lei e tutta la sua famiglia valorosa. Vorrei anche dirvi mia figlia è diventata una altra persona, allegra, buona, intelligente … Si tratta probalbilmente dell’influenza di Paolina…


SC : Non esageri ? La prego. Comunque evviva, evviva !

FB (con un profondo sospiro) : Ma sono venuto ad annunciarvi che dobbiamo partire per Costantinopoli presto, prestissimo … E’ molto urgente ! Niente di personale, non non preoccupatevi …


SC : Oh peccato ! Davvero PECCATO !

(Il Signor Bluastro osserva la signora Carla con sorpresa e un po’ di sospetto.

SB ( po’ freddo): Dunque, che possiamo fare per Lei?

FB : Niente, caro amico, sono venuto a dirvi arrivederci.

SB : D’accordo arrivederci allora e buon viaggio !

(Faruk Bey bacia la mano della Signora Bluastro )

FB : Arrivederci e grazie per tutto !

(Vuole uscire).

SB : Signor Faruk Bey aspetti un po’. Può farci un piccolo favore ?

FB : Certo, certo.

SB : Sieda prego. È un po’ lungo da raccontare.

(FB si siede, cerca la sua pipa, si mette a fumare)

SB : Due anni fa la fidanzata di Barnaba è stata rapita sul Mare Adriatico vicino all’Albania. Da quel giorno il poverino non ha alcuna notizia della sua fidanzata …

FB : Che infelice, mi dispiace, mi dispiace …

SB : Barnaba, vieni qui. (Barnaba corre e si mette vicino alla poltrona di Faruk Bey). La mia domanda, signor Faruk Bey è la seguente : È possibile che Barnaba venga con Lei in Turchia per cercare la sua amata fidanzata? Forse con tutte le sue relazioni e la sua influenza potrebbe aiutarlo a ritrovarla.

FB : Ma certo, Signor Bluastro, sono d'accordissimo. Sappia che Barnaba sarà trattato come un figlio.

SB : La ringrazio molto. Mi lasci offrirle un regalo, la prego.
(Il Signor Bluastro prende il modellino d’una gondola e lo dà a FB).

FB : Signor Bluastro, non c’è di che. E’ normale, sono contento di aiutare la vostra famiglia.

(Faruk Bey esce colla gondola in mano. Davanti allo squero alza la gondola in aria e sorride verso il publico con un’occhiata d’intesa).





mardi 3 avril 2007

Primavera





Cari Divanetti, tutti sapete che sono sopratutto poetessa. Vi regalo con quatro miei poemi per la primavera !
Baci, Suada


Fouette queue


Comme mon matou

Qui m'offre quelquefois

Souris crevée

Oiseau blessé

Ou un fouette queue


Je dépose ces mots

Sur ta messagerie

A l'autel de la poetry


Restes d'un poème

Débris d'un blues

Cadavre d'un sonnet


Au lieu de travailler

Au lieu de travailler à Sogexo toute la journée
Enfermée dans une cage avec vue sur Tour Eiffel
Je voudrais être arroseuse de rue, nettoyeuse du ciel
Conduire un camion rouge, boire des bières

Au lieu de pianoter toute la journée sur un clavier
Taper, saisir, remplir les cases, ordonner les donner
je voudrais cultiver un champs de maïs format A64
jouer aux échecs, élever des chèvres dans les Pyrénées

Je m'imagine aussi en Bretagne, femme au foyer
Avec un mari pêcheur costaud tatoué
Qui ira au bistrot le soir, me laissera seule
Afin que je puisse écrire enfin quelque chose
Sur mon arrière-arrière grand-père
Qui était allumeur de réverbères ...


Still Life


Le français dramatise

Les feuilles mortes ne sont pas mortes !

Elles évoluent se réincarnent

Se déguisent


Le français se plante :

Une nature morte n'est pas morte !

Arbre lierre feuille pierre

Crient bougent

Changent de couleur

Deviennent rouge


Comme une Gitane


Comme une Gitane ayant mal de tête

Collant sur son front fièvreux

Des rondelles de pommes de terre crues

Les serrant d'un bandeau poisseux


Je colle mes lettres et mes mots

Sur la feuille blanche ou écrue

De rimes maladroites les relie

Ca va tout de suite mieux !


Comme une enfant qu veut pas dormir

Veut histoire main chanson verre d'eau bisou

Avant de m'endormir pour de bon

Moi aussi je veux tout ça !

lundi 2 avril 2007

Prossimo divanetto


Cari Divanetti,


Il prossimo divanetto e programmato per il 20 Aprile !


Baci,


Suada


Il futuro prossimo del Divanetto (2008)?

Qui êtes-vous ?

Ma photo
Paris, Ile de France, France